Età Romana

All’interno di un rinnovato clima di coesione economica e culturale si inserì la potenza conquistatrice di Roma: è ciò che suggerisce il ritrovamento di frammenti di intonaco e, soprattutto, quello di diverse monete di emissione romano-campane. Successivamente allo sbarco di Pirro ed al conseguente clima di incertezza politica, i Brettii furono costretti a cedere a Roma metà della Sila, subendo così un ulteriore colpo alla loro economia, che dalla pastorizia e dallo sfruttamento del legno traeva decisivi mezzi di sostentamento.
L’evento della II guerra punica (218-202 a.C.) rappresentò per i Brettii, frazionati nella politica e nel territorio, un’illusoria speranza di ribalta, ovvero l’occasione di liberarsi dal soffocante potere di Roma. L’esaurimento del centro brettio di Tiriolo è legato, probabilmente, all’emanazione del Senatusconsultum de Bacchanalibus del 186 a.C.
Nel 1640 «nel farsi le fondamenta» del palazzo del principe Giovan Battista Cigala-Doria, feudatario di Tiriolo, «Ritrovossi quivi vicino una tavoletta di bronzo alta un palmo e lunga un po-co di più, dove stava esarato un editto del Senato Romano, col quale si proibiva al popolo di Tiriolo esercitare li giuochi baccanali». Si tratta di un decreto del senato di Roma (Senatusconsultum de Bacchanalibus del 186 a.C.) con il quale si vietavano i culti in onore di Dioniso o Bacco. Sulle modalità e la sua diffusione si sofferma Tito Livio, secondo cui i riti dionisiaci erano penetrati a Roma dall’Etruria, e «si diffusero come una malattia contagiosa». Originariamente le celebrazioni si svolgevano in tre giorni nel corso dell’anno ed erano accessibili solo alle donne. In seguito, la sacerdotessa campana Annia Paculla apportò alcune modifiche allo statuto: alle riunioni furono ammessi anche gli uomini, i giorni di festa furono aumentati a cinque al mese, ecc. Tito Livio narra che nel corso delle riunioni notturne gli uomini e le donne, in preda all’ebbrezza del vino, compivano efferatezze oltre misura, non solo di carattere sessuale, ma anche «false testimonianze, falsificazione di documenti, venefici e omicidi». Secondo alcuni studiosi il racconto di Tito Livio si dilunga come un «romanzo d’appendice» ed è pieno di «spunti romanzeschi», per altri, invece, «ha tutte le apparenze della realtà», altri ancora sostengono, più prudentemente, «che sotto le esagerazioni ci sia un fondo di verità», oppure, entrando più nello specifico «che la narrazione principale ha come base importanti passi politici e giuridici». I senatori, comunque, spaventati dagli eventi e dal dilagare del fenomeno, decisero di affidare ai consoli, con mandato straordinario (extra ordinem), la questiones dei Baccanali. Un’attenta lettura del testo denota l’intenzione del Senato di limitare le libertà dei popoli indigeni vietando i raggruppamenti di più di cinque persone, che col pretesto del culto orgiastico-religioso in onore di Dioniso (o Bacco), cospiravano contro il potere di Roma.